lunedì 16 dicembre 2013

Patamu e la nuova frontiera del Copyright

Creare pezzi propri è una delle parti più belle ed affascinanti della nostra passione, che stiamo condividendo insieme.
Lo facciamo con molta naturalezza e i risultati finora ottenuti ci hanno soddisfatto parecchio, insieme all'apprezzamento ricevuto dal nostro pubblico, che ci dà ancora più entusiasmo per continuare.
Fra cover e un pezzo proprio non c'è dubbio: è molto più gratificante il secondo, ma molto. E riguarda tutta la fase della sua vita: ispirazione (quasi sempre un fatto realmente accaduto), creazione della parte musicale, scrittura del testo, arrangiamento, registrazione ed esibizione.

Una volta che si decide di comporre pezzi propri, la prima domanda da doversi porre è: in che modo tutelare la propria opera?
Il primo consiglio che vogliamo darvi è: occhio a non sottovalutare questa domanda.
Mi è capitato molte volte di sentire degli amici/conoscenti sminuire l'importanza di questo aspetto, facendolo passare come una sorta di passo da fare, si, ma senza fretta.
Primo errore.
Può sembrare inizialmente strano, ma se il pezzo è un buon pezzo e qualche male intenzionato lo ascolta, state pur certi che il rischio di furto esiste, eccome.
E non credo che sia una cosa bella sentire un proprio pezzo, qualche tempo dopo, cantato da altri e trasmesso in qualche radio senza il vostro permesso, ma soprattutto utilizzato a fini di lucro da altre persone.

La prima cosa che viene in mente in questi casi è: mi devo iscrivere alla SIAE.
Secondo errore.


Purtroppo c'è molta reticenza da parte del nostro sistema informativo a diffondere sui mass media un po' di formazione sul diritto d'autore.

Diciamo le cose come stanno: il diritto d'autore in Italia è in mano ad una vera e propria casta, nell'accezione più negativa del termine.
Purtroppo viviamo nel paese delle caste e dei tanti indebiti privilegi in mano a pochi.
Privilegi acquisiti e mai realmente combattuti, per via di un'infinità di conflitti di interesse presenti trasversalmente nel nostro sistema-paese, che poi vanno inevitabilmente a ripercuotersi sulla parte più fragile del paese, ovvero la maggior parte di noi.
Pertanto l'automastismo "scrivo pezzi miei = mi devo iscrivere alla SIAE" è comprensibile che avvenga, per lo meno all'inizio.
Però, navigando su internet, si scopre che in realtà non è affatto così.

Bisogna infatti fare due grandi e nette distinzioni: la protezione della propria opera e l'intermediazione finanziaria per poter da essa trarre profitto (o meglio, ricavo!).

Per protezione della propria opera si intende meramente il fatto che bisogna poter dimostrare, attraverso un sistema riconosciuto dall'ordinamento giuridico (ovvero avente valore legale), che la nostra opera è effettivamente nostra, cioè se siamo stati proprio noi i primi a crearla e quindi a custodirla in una "cassaforte".
In modo che, in caso di appropriazione indebita da parte di un terzo soggetto, si possa essere nelle condizioni di poter dire banalmente: "no caro mio, quest'opera è mia, e ora ti dimostro che l'ho creata prima e che tu, quindi, me l'hai copiata".
Bene, per fare questo non c'è bisogno della SIAE.
Ripeto per i più disattenti: per poter proteggere una propria opera non è necessario registrarsi alla SIAE.

Eh già, vi suona strano ma è così.
E se lo volete provare con mano vi consigliamo la bellissima piattaforma Patamu, che stiamo utilizzando anche noi: un progetto italiano, creato da giovani ragazzi italiani, che offre in modo principalmente gratuito un sistema legalmente valido per poter tutelare le proprie opere, attraverso il protocollo informatico della marcatura temporale. Il sistema rispecchia quello della firma digitale ma è applicato alle opere d'ingegno.
Per tutti i dettagli tecnici rimandiamo alla descrizione del sito nonché alle FAQ, che sciolgono ogni dubbio.
Riteniamo doveroso mettere alla conoscenza di più persone possibili l'esistenza di tale iniziativa, tra l'altro Made in Italy, per poter tutelare le proprie opere senza fare arricchire i soliti noti della SIAE.
Complimenti ai fondatori di Patamu, in bocca al lupo per il proseguo del vostro progetto.
Una cosa è certa: avrete il nostro sostegno!

Diverso è, invece, il discorso di voler guadagnare da quell'opera.
Purtroppo, per questo aspetto vince il vergognoso monopolio della SIAE.
Nel senso che, se un autore vuole utilizzare la propria opera per metterla a reddito, deve per forza iscriversi alla casta delle caste.

Esempio banale: chiunque voglia diffondere della sana musica dal vivo deve pagare la SIAE, compilando la lista delle canzoni da voler eseguire; il compenso che paga alla SIAE, che varia a seconda della tipologia di serata (fasce di numerosità di pubblico, luogo fisico, tipologia di diffusione ecc.), viene poi distribuito in modo molto discutibile fra vari soggetti, compresi ovviamente gli autori.

Ecco, se vogliamo che una delle nostre opere possa essere inserita in tali liste, dette anche borderò, in modo da poter poi ricevere il relativo compenso, bisogna essere registrate obbligatoriamente alla SIAE. 

Ma questo non c'entra nulla con la protezione del brano.

Tra l'altro, cosa fondamentale, se non siete Vasco Rossi o Laura Pausini, è molto difficile che i ricavi che ottenete dalla SIAE, per le compilazioni dei borderò con i vostri brani, coprano i costi di iscrizione e permanenza in SIAE, tra l'altro sempre in aumento.
Non abbiamo in mano delle statistiche ufficiali ma sono sicuro che la maggior parte degli iscritti alla SIAE abbia i costi maggiori dei ricavi, difficilissimo il contrario.

Questo, inoltre, vale non solo nella musica ma in tutte le altre tipologie di opere d'ingegno.

Dunque, perché complicarsi la vita e arricchire i soliti noti?

W Patamu.
W il Copyright 2.0..

E abbasso la SIAE.

:)

Gianni

venerdì 29 novembre 2013

Una sana, inconsapevole... diffidenza

Lo riconosco: sono diffidente per natura.
Non è che non riesca a fidarmi degli altri, è che tale fiducia, quando c'è, non è mai totale, nasconde sempre un non so che, un qualcosa di impercettibile, un'imprecisabile tendenza a rimanere sul chi va là, sul "ok ok, va bene, ma tanto appena ho due minuti ri-verifico tutto".
Mi capita a lavoro, in famiglia, con amici. Vi dirò di più: mi capita anche con me stesso (!).
Forse deriva dal mio essere quello gli psicologi chiamerebbero un iper-razionale.
Trovo questa tipologia di atteggiamenti anche negli animali, si tratta per caso di un istinto primordiale?
La chiamo anche Sindrome di San Tommaso.
Insomma, sono un pallosissimo (in)credulone.

Non mi interessa soffermarmi sul fatto se tale diffidenza sia una cosa positiva o negativa, un pregio o un difetto. Non ne vado fiero ne me ne vergogno e non me ne preoccupo.
Però c'è, è lì, la sento, fa parte di me.

Ma, in realtà, ciò che ho scritto finora non è del tutto vero. Ed è qui che interviene la parte incoerente di me.
Ora, la domanda è: ma come la mettiamo con le infinite sfacettature della vita che non sono oggettivamente certificabili, forse non lo saranno mai, e sulle quali in nessuno modo potrei essere sicuro della loro esistenza o validità, così come della loro inestistenza o nullità?
La risposta più ovvia sarebbe: non le considero neanche. In questo blog, però, di ovvio non leggerete niente quindi rassegnatevi.
Temi religiosi, mistici, scaramanzia, mondo paranormale.
Aspetti che nessuna equazione, nessun paper, nessun Premio Nobel potranno mai dimostrare.
Voi mi direte: uno come te dovrebbe non crederci a prescindere.
E invece no: non li boicotto, tutt'altro, mi affascinano, li osservo con interesse e curiosità.
D'altronde, se come scrisse Jung anche "la ragione deve ammettere la propria incompetenza", allora in alcuni casi non resta che alzare le mani, arrendersi e lasciarsi andare. Anche per i San Tommaso come me.

Ma per i fatti tangibili, oggettivamente valutabili, concreti, definiti ma non per questo definitivi, rimane la mia generale diffidenza.
Una diffidenza sana, inconsapevole, come la libidine salva giovani di Zucchero.

Gianni

lunedì 18 novembre 2013

Sempre con quel cellulare in mano...

Faccio parte delle generazioni 2.0, Social Network, digitali. Chiamatela come volete, ma ne faccio parte.
Ne faccio parte perché sono super-arci-convinto che questa non sia una moda passeggera, ma sia un cambiamento reale del mondo che è già in atto, cambiamento in meglio, ovviamente intendo.
Rimando ad altra sede la spiegazione del perché, in concreto, penso che questi strumenti stiano stravolgendo in meglio il mondo e torno con un carpiato con due avvitamenti al tema di questo articolo:
"Sempre con quel cellulare in mano... e basta!".

Non so voi, ma mi sono sentito fare questa osservazione un sacco di volte, troppe.
Non ho mai sopportato i pregiudizi sugli Smartphone, derivanti prevalentemente dalla non conoscenza dello strumento.
I pregiudizi, in un modo o nell'altro, portano sempre e comunque sulla cattiva strada.
La generazione dei nostri padri-zii-nonni soffre di una rara forma di misoneismo: hanno tremendamente paura del nuovo.
E' una malattia ed è molto difficile da curare.
Purtroppo l'associazione che spesso ingenuamente viene fatta è la seguente: stai smanettando con il "cellulare" = stai telefonando/messaggiando.
Insomma, un modo neanche troppo gentile per dirti: basta cazzeggiare!

Iniziamo, per prima cosa, a fare una scissione netta e categorica: non mi puoi dire "sempre con quel cellulare in mano..." se invece io in mano ho uno Smartphone.
Dunque, la prima risposta da dare a tali sprovvedute persone è la seguente: "non è un cellulare!".
Diabolica genialità di Steve Jobs a parte, lo Smartphone è un oggetto miracoloso, è riuscito a soddisfare dei bisogni che non solo prima di allora sono sempre stati insoddisfatti, ma addirittura neanche si sapeva di avere.
Essere riusciti a racchiudere in un oggetto minuscolo e leggerissimo l'infinita potenza di Internet di cui il mondo è stato inondato, e dei suoi interminabili strumenti derivati, equivale a dieci rivoluzioni industriali messe insieme.

Ma, allora, di quale cellulare stiamo parlando?
La cosa raggiunge livelli di assurdità che sfiora la comicità quando chi ti rimprovera, ad esempio, lo fa mentre sfoglia un giornale.
Ma come? E io, secondo te, cosa sto facendo?
Non solo leggo il giornale con il mio Smartphone, ma lo pago, lo archivio, lo sottolineo e ne condivido le parti più interessanti con i miei amici.
Il tutto in maniera del tutto legale, senza inquinare l'ambiente o disboscare foreste. 
Qualcos'altro da aggiungere?

La cosa evidentemente non cambia se anziché sfogliare il giornale, l'indivuo sta guardando la TV, leggendo un libro, ascoltando la radio, acquistando scarpe, cercando una ricetta, studiando ecc. ecc..
Siate aperti ai cambiamenti, non abbiate pregiudizi sulle novità, soprattutto se come in questo caso portano ad un miglioramento collettivo.

E W gli Smartphone :)

Gianni

venerdì 15 novembre 2013

Scelgo la musica

La vita è davvero qualcosa di incredibile e vale la pena viverla fino in fondo, giorno dopo giorno.
Senza pretese, senza progetti, senza obiettivi.
Dico sul serio.
Vale la pena viverla senza legami con il passato e neanche con il futuro.
Tutto questo ti distrae dalla cosa più importante: l'oggi, l'adesso.
Una volta che l'hai capito, tutto il resto vien da sé, è una conseguenza dell'oggi.
Solo lasciando scorrere quel fiume che è la vita realizzeremo davvero la nostra natura, la nostra essenza più autentica, senza condizionamenti.
La nostra anima ci guiderà solo se la lasceremo fare da sola.
Ogni progetto, ogni obiettivo categorico, creano dei massi, dei tronchi di albero, degli accumuli di sabbia che impediscono a quel fiume di scorrere liberamente.
Solo rimuovendo queste barriere realizzi la tua profondità e la tanto ricercata felicità, così bella da non trovare definizione né leggi scritte che la rappresentino.

Proprio in questo modo mi sono avvinato alla musica, quando ero bambino.
Ed è proprio in questo modo che dalla musica sono tornato, dopo essermene allontanato.

Mi ero allontanato dalla musica perché avevo su di essa obiettivi, aspettative, pretese, più o meno consapevoli. In questo modo ho allontanato, da me stesso, una parte di me.
Sembravano motivazioni, in realtà erano solo disattenzioni travestite da attenzioni, intralci travestiti da opportunità, che hanno creato tensioni e perdita di energia, distaccamento dalle cose vere.
Solo quando ho messo da parte tutte queste distrazioni, la musica è tornata a farmi visita e l'ho potuta riabbracciare, il più inaspettatamente possibile, senza progetti, senza obiettivi.

E allora ri-eccomi qui, privo di particolari esigenze, ma solo con una grande spensieratezza che mi aiuta a stare meglio con la musica e con me stesso nella musica.

Scelgo la musica ma in realtà non sono io a sceglierla ne lei a scegliere me, semplicemente con i Nadim Duo ritorno ad essere più vicino a me stesso e alle mie più naturali attitudini, quelle che ti fanno stare bene anche se non vuoi, anche senza accorgertene.

Con questo articolo inauguro il nostro blog e... bentornato :)

Gianni